Capitolo XVII
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Ma per la grazia
del sommo Dio e per intercessione de’ Santi Protettori, non molto soffiando il
vento, si venne ad estinguere detto fuoco senz’aversi dilatato. Con tutto che
sino la sera fosse stata fervente la fiamma, incenerendosi detti legna, non si
dilatò. Il che fu attribuito nonché per un gran portento, [ma] a miracolo
Divino. E non perciò non restarono abbruggiate le case, gli effetti e vigne, le
quali si retrovavano per tutto lo spazio di detto campo, specialmente ove
esistevano gli materiali per aumentarsi il fuoco sudetto. Se per causa di detto
incendio dalli poveri cittadini di questa s’avesse inteso rammarico con pianto
e lagrime, e di quelli che si vedeano abbruggiare le possessioni senza puotersi
dare alcun riparo, si lascia alla considerazione di quei che l’intendono,
poiché per essere incredibile, come pure eccedendo in eccesso, non si può
distintamente descrivere.
Disertore spagnolo fuggito dalle truppe di
cavalleria giunge nel centro urbano, riferendo un tragico avvenimento appena
accaduto: in contrada S. Giovanni una palla di cannone ha decapitato un suo
commilitone Mentre
che in città si stava con molt’afflizione per l’incendio seguito nella Piana,
venne un desertore spagnuolo di cavallo: attestò che, ritrovandosi con altri
soldati di cavalleria in detta contrada di San Giovanni nel tempo che da questa
città furono disparate due cannonate, una palla di cannone levò intiera la
testa ad altro soldato spagnuolo, che con esso [lui] si ritrovava a cavallo.
Perloché esso desertore non seguì il cam[m]ino con l’altri soldati fuggitivi,
trattenendosi a dietro con quello morto. Ed osservando che quei s’aveano
dilongato colla fuga, senz’alcun timore spinse le redine del suo cavallo e se
ne fuggì in questa città. Riferì inoltre che dette truppe spagnuole vengono
nella Piana a contemplazione [su
richiesta, ndr] delli paesani della Comarca solo per demostrarsi [questi
ultimi] molto affezzionati all’arme spagnuole, per tener questa città
spaventata. Ma meglio per aver campo d’assassinare colli ladronecci tutta
sudetta Piana.
Altri tre disertori spagnoli a cavallo, in fuga dal
campo di Francavilla, riferiscono di essere sfuggiti ad un assalto da parte di
alcuni civili intenzionati a riscuotere la taglia promessa dai comandi militari
spagnoli per ciascun disertore Nel medemo giorno, sul tardi, vennero
pure altri tre soldati spagnuoli da cavallo, avendo fuggito dal loro campo in
Francavilla. Riferirono che per la strada furono assaltati da molti paesani
della comarca per farli prigionieri, con [allo
scopo di, ndr] condurli alli loro officiali in detto campo per conseguire
la mercede promessa e determinata per ogni soldato fuggitivo, per [quale, ndr] pagamento della loro
tradiggione. Ma questi, uniti, con ogni impegno attesero a defendersi, tanto
che uno degli assalitori restò ucciso, con aversi gli altri fugato con molto
loro discapito. Peronde se ne vennero
sino a questa città.
19 agosto 1719
Ulteriori diserzioni di militari spagnoli che
barattano i propri cavalli per imbarcarsi con destinazione Calabria o Napoli 19 agosto Pure
in questo giorno comparirono altri quattro soldati di cavallo spagnuoli, li
quali - ritrovandosi con alcune squadre di cavalleria della loro nazione nella
città del Castro Reale e parti convicine in questa Comarca - la notte scorsa,
ritrovandosi di battuglia, arrischiarono la fuga e desertarono con aversi
retirato in questa. Non riferirono cosa di sodo o per non saperlo o fingendo
esserne inscienti. Anzi, così li giorni scorsi come susseguenti, di continuo
venivano molti soldati di cavallo
spagnuoli prendendo la fuga, cossì di quei che dimoravano in Francavilla come
dell’altri ritrovati in questa convicina comarca. E tutti, barattandosi gli
loro cavalli, s’imbarcavano nell’istante che si ritrovava la commodità pronta
sopra alcuni imbarcazioni, conducendosi nella Calabria o in Napoli.
I militari spagnoli ed i malviventi dei comuni
dell’hinterland («Comarca») puniscono la fedeltà dei Milazzesi alla corona
imperiale appiccando il fuoco negli appezzamenti della Piana Volendo
demostrare gli Spagnuoli, come pure tutti gli paesani di questa Comarca, nonché
la loro malvagità, pure il mal animo che aveano con questa povera città -
asserendo che gli cittadini di essa non volsero [ar]rendersi all’arme di
Spagna, soffrendo un assedio molto stretto per lo spazio di più mesi,
contentandosi piuttosto perder nonché li loro effetti, pure la vita per
rendersi al vassallaggio di sua Cesarea Cattolica Maestà, quando peraltro tutto
il regno era alla devozione del Re di Spagna - sempre pretesero danneggiar
questa città. Perloché in questo giorno arrischiarono molte truppe spagnuole di
cavalleria furtivamente condursi in questa Piana, spalleggiate d’alcuni villani
armati di questa Comarca, e di nuovo per danneggiare questi cittadini in più
parti di essa Piana. Ove scorgeano ritrovarsi materiali per incendere il fuoco,
accesero quello: e da nuovo dalla città s’osservò la fiamma, la quale
abbruggiava le loro possessioni. E ciò seguì oltre due volte nelli giorni
susseguenti.
Sopra che si
scorgette non tanto la mala inchinazione delli Spagnuoli, come [quanto piuttosto, ndr] la perfidia
dell’abitanti di questa comarca, li quali - non reflettendo agli oblighi dovuti
del vassallaggio per due volte giurato alla Maestà Cesarea e Cattolica, né alla
desolazione delli Spagnuoli, quali andavano raminghi e fuggitivi nel Regno, né
alla disperata speranza d’aver alcun ancorché minimo aiuto da Spagna, tanto per
deficienza di soldati e per le guerre intestine ed estere nella Spagna e
finalmente tutte le volte si puotessero approntare soldatesche con quali
navilij si puoteano condurre in questo Regno, tutto presidiato da tante navi
inglesi ed altri vasselli e galere - pretendevano che la loro fellonia fosse
pure associata da questi fedelissimi cittadini. Li quali, non avendo alcun
riguardo nonché alli loro beni, nemeno alla propria vita - il che s’osservò per
tutto il tempo della presente guerra e colla perdita e desolazione delle loro
case in città e possessioni nel territorio, oltre gli gravissimi patimenti
sofferti, cossì nella carestia, come nelli morbi avuti colla morte pure di molti
cittadini di qualunque specie, uccisi con palle di cannoni e con bombe, come
con infermità maligne - pure patientemente con «ogni tranquillità soffrirono,
colla sola reflessione di far palese coll’opre l’affezione, fedeltà e servizio
dovuto al loro monarca cesareo e cattolico, qual tenevano nel cuore,
pregiandosi esser essi soli nel Regno stimati per tali, differenziandosi
dall’altri regnicoli. E reflettendo, inoltre, che la loro fedeltà con occhio
benigno e clemente s’abbia per sempre da riguardare, pure ammirare d’un re
clementissimo. Oltreché si celebreranno per molti secoli in avvenire gli gesta
ed azzioni generose d’un popolo (benché esiguo) dell’intutto contrario ad un
regno intiero tassato di fellonia».
Il che
sperimentarono dalle compitissime lettere inviate da sua Cesarea e Cattolica
Maestà a questi spettabili giurati e reverendo arciprete. Degne non solo
scolpirsi in marmi e bronzi, pure fregiarsi a lettere di purissimo oro per
eterna memoria. Ed infine contentandosi tutti gli cittadini di questa spargere
tutto il sangue in servizio del loro Padrone [sovrano, ndr]; e solo per non esser tassati con alcun’ancorché
minim’ombra di infedeltà.
20 agosto 1719
I civili dei comuni dell’hinterland parteggiano per
gli Spagnoli per interessi personali. Tra i più accaniti Paolo Zangla e
Francesco Oliveri, entrambi di Pozzo di Gotto, i quali, oltre ad aver incassato
la nomina a due importanti incarichi, pretendevano incamerare i beni immobili
sequestrati agli aristocratici milazzesi accusati di tradimento per aver
giurato fedeltà alla Corona imperiale. Ma i comandi militari spagnoli, lungi
dall’assecondare queste loro pretese, lodarono la fedeltà dei Milazzesi al
proprio sovrano 20
agosto Nel tempo che gli Spagnuoli tenevano questa città assediata colla speme
di sorprenderla di momento in momento, come si millantavano con tutti gli
paesani di questa Comarca, si fecero questi [ultimi] molto affezionati all’arme
spagnuole, colla speme d’esser avantagiati così nel generale come nel
particolare più di questa città, tanto nelli privilegij tenea essa città come
nelli posti, cariche e dignità per tutto il Regno. E specialmente quelli della
città di Puzzo di Gotto, fra quali si nominarono per capi principali Paolo
Zangla e Don Francesco Oliveri, con essere stato il primo eletto da quel viceré
spagnuolo marchese di Lede per commissario generale ed il secondo per capitano
di soldati nazionali.
Perloché fatti
entrambi nonché insolenti, ma veri masnadieri, col seguito delli villani
paesani e della comarca pretesero dividersi tra essi ed altri di detta città,
come vassalli del re di Spagna, quei effetti disolati nella Piana come beni di
rubelli al sudetto re. Bensì intavolata la loro insussistente pretenzione cogli
officiali spagnuoli, questi, conosciuta la loro sfacciataggine, si dichiararono
publicamente che li melazzesi, con tutto che non avessero assecondato al volere
d’essi Spagnuoli con esserli nemici, non perciò si puoteano dichiararsi
rubelli, poiché hanno complito col dovere in servizio del loro Re. Anzi, si
disse (rimettendomi al vero) che quei furono tassati da felloni nonché da
presunzioni. Tanto che la loro pretendenza svanì col molto suo discapito; ed in
avvenire non tentarono con simili stravaganze. E con tutto ciò sempre
demostrarono il mal genio [che] tenevano cogli abitatori di questa.
21 agosto 1719
Tre disertori
spagnoli fuggono dal campo di Francavilla 21 agosto. Si conferirono in
questa città tre desertori spagnuoli fuggiti dal loro campo in Francavilla. Non
riferirono cosa di sodo ed avendosi venduto li cavalli furono trasportati in
Calabria.
22 agosto 1719
Contadini dell’hinterland, capeggiati da Zangla ed
Oliveri, rubano sessanta buoi ai milazzesi, costringendoli a pagare un riscatto
per non macellarli
22 agosto Con tutto che quei di Puzzo di Gotto con alcuni loro paesani e della
Comarca avessero composto a molti, con averli rubbato li loro bovi, e doppo
seguita la restituzione avuta la composizione [riscatto, ndr] richiesta, nondimeno in questa notte - uniti sudetti
villani con l’intelligenza delli sudetti di Zangla ed Oliveri - rubbarono da
sessanta buoi delli paesani di questa città, li quali si ritrovavano in detta
Piana e territorio, numerandosi, fra l’altri, num[ero] [segue lacuna nella copia,
ndr] dal signor Don Fiderico Lucifero, altri [segue lacuna nella copia, ndr] dal signor Don Francesco Lucifero,
sei dal sacerdote Don Giuseppe Capponi, [segue
lacuna nella copia, ndr] dal signor Giovanni Muscianisi, [segue lacuna nella copia, ndr]. Anzi,
nella presa di detti bovi intervenne detto di Zangla, come capo d’una truppa di
villani ladroni, e più di essi sudetto capo. Anzi, li sudetti di Zangla ed
Oliveri, avendo fatto prendere molt’altri bovi dell’eredità del fu Pietro
Guerrera e del signor Don Saverio Siragosa, fu necessario per recuperarsi dalla
prima partita pagarsi al detto di Zangla venti genovini [moneta in uso ai tempi dell’Assedio, ndr] per mezzo del sacerdote
Don Giuseppe Lombardo e dall’altra partita altra porzione di denari. E di più,
nonostante che dall’eredità sudetta s’avesse sodisfatto sudetta somma, pure
susseguentemente li furono presi sei bovi; e per recuperarsi altra volta si
pagarono al detto Don Francesco Oliveri tarì ventiquattro per non macellarsi. E
se si volessero raccontare tutte le composizioni fatte dalli sudetti di Zangla
ed Oliveri renderebbe nocumento nonché ammirazione a chi l’ascolta. Quest’è
vero che furono in eccesso e pure era vuopo soffrirsi da questi poveri paesani,
li quali si vedevano giornalmente assassinare dalli villani ladroni e non
puotevano trovar lo scampo, per non seguire tante composizioni e latrocinij
sfacciatamente adoprati da essi villani infami coll’auspicij delli sudetti di
Zangla ed Oliveri.
23 agosto 1719
Prosegue la carestia 23 agosto. La
carestia d’ogni vettovaglia nonché [non
solo, ndr] di pane e vino, ma di qualsivoglia altra sorte di viveri,
continuava gagliardamente in questa città, con aversi redotto gli poveri
cittadini in grandissima necessità, non avendo formalità alcuna come
sostentarsi. E tolto alcuni plebei che s’adattavano in comprare e vendere,
spalleggiati d’altri che tenevano qualche denaro, tutti gl’altri di qualunque
condizione molto soffrivano, vedendosi perire di fame, così per non ritrovarsi
menoma sorte di viveri, come per esser molto esorbitante lo prezzo di quelli
che con difficoltà si poteano avere, ancorché fossero tutti di malissima
qualità e condizione.
24-29 agosto 1719
Le truppe imperiali entrano a Messina mentre gli
Spagnoli si ritirano nella Cittadella. Epidemia uccide decine e decine di
militari imperiali
24 agosto sino a 29 detto. Venne notizia veridica che il campo tudesco avesse
entrato nella città di Messina, con aversi impossessato delli bastioni di Matagriffone,
Castellazzo ed altri di essa città. Doppo il palazzo e tutta Terranova, col
discacciamento delli Spagnuoli, li quali tutti si retirarono nella Cittadella.
Con aversi fatto molte trinciere, con quantità di cannoni e bombe, con molto
stento e mortalità delle sudette truppe tudesche, impedite alla gagliarda dal
cannone di detta Cittadella. E col disparo pure di molte bombe. E per quello
s’affermava, l’officiali tudeschi si demostrarono molto intrepidi e costanti
nell’assedio di detta Cittadella, non curando la vita pure gli signori
comandanti generali coronelli ed altri.
Non si puoterono
in detto tempo numerare tutti quelli poveri soldati tudeschi, li quali
passarono all’altra vita per causa delle febri maligne e con dissenterie
incurabili che l’assaltarono. Poiché non passava giorno che non ne morissero
trenta e più. Bensì per gli cittadini per misericordia di Dio non correa
l’istessa epidemia, avendo cessato in parte, con tutto che molti avessero
incorso nel medesimo morbo colla perdita della loro vita.
30 agosto 1719
Disavventura di Antonio Galletti, farmacista,
recatosi in Calabria per acquistare viveri e derubato assieme al figlio ed ai
suoi marinai da alcuni militari spagnoli. L’avvenimento fu oggetto di
procedimento civile, nel quale verosimilmente fu proprio il Barca a difendere
uno dei soggetti coinvolti nella controversia. Tra gli altri, il padrone
marittimo Orazio Patti, il quale noleggiò al Galletti l’imbarcazione necessaria
per recarsi in Calabria 30 agosto Per la veemente carestia che continuava
nella città di qualsivoglia sorte di vettovaglie, vedendosi tutti gli abitatori
perire di fame, li giorni scorsi Antonio Galletti, aromatario [farmacista,ndr], raccolto un capitale di
onze venti, tanto proprio come d’altri, determinò condursi nella Calabria per
far compra di viveri. Ed in effetto, affittata una barca da padron Horazio
Patti, si partì da questa con Giuseppe, suo figlio, conducendo detta barca li
seguenti marinari, benché molto sprattici: Antonino Falcone, Georgio Cannata,
Francesco Morisco, Vincenzo Zanghì e Francesco la Macchia. E trasferiti tutti
in Calabria, e [precisamente] nella Terra di Palmi, fecesi compra di formenti.
E doppo quelli fecero macinare al molino della Serra, da dove s’incaminarono
per verso questa città. E ritrovandosi nel camino allo scaro nominato d’Imbuto,
non puotendo proseguire il viaggio (come doppo attestarono), fecero alto in
detto scaro, con tutto che detta barca non s’avesse approdato nel lido, ma una
corda e mezza dal terreno lontana, per esser tutta quella Marina a devozione
delli Spagnuoli. Anzi, da essi con molte scorrerie sovente scorsa. E
sovragionta la notte, non badando a trattenersi con ogni circospezione e
cautela per non inciampare in alcun pericolo, anzi dedicandosi al sonno senza
guardia d’alcuno di essi, all’alba del giorno seguente affermarono che da detto
lido s’abbia partito un soldato spagnuolo ed a nuoto si conferì sopra detta
barca con uno stile [pugnale a lama
lunga, stretta e acuminata, ndr] in mano, minacciando al detto di Galletti e
l’altri che portassero la barca a terra. Peronde, tutti spaventati, osservando
che nella ripa di detta Marina si ritrovavano da cinquanta soldati spagnuoli a
cavallo, furono costretti approdare in terra sudetta barca, ove, vessati con
molte battiture, detti marinari - e tutti spogliati - conducessero fucatamente
con alcuni soldati sudetta barca nello scaro di Fondachello. E fatti tutti
disbarcare si presero li soldati alcuna pozione di detti viveri, con averla
lasciata nella detta Marina. E susseguentemente detta barca la fecero approdare
nella Marina di Cattafi, lontana da questa città da miglia quattro. Ove [venne]
disbarcata tutta la farina ed abbruggiata la barca da detti soldati. Così li
detti di Galletti, come tutti gli marinari, ben legati furono condotti nella
città di Castroreale e posti carcerati. Bensì, doppo, tutti sudetti marinari
furono cambiati il giorno antecedente con aversi inviato con un tamburro sino
alla chiesa di San Giovanni, fori le porte di questa città e pochi passi
distanti dalle mura di essa. Ed in questo giorno furono pure condotti con altro
tamburro li sudetti di Galletti nel medemo luogo.
Molto si
discorse in questa città sopra la presa di detta barca. Molti diedero la colpa
al Galletti e marinari, poiché in nessun modo si dovea con detta barca farsi il
camino in detto scaro d’Imbuto, luogo pieno di nemici spagnuoli. Anzi, tutte le
volte che per venti contrarij fossero stati forzati approdare in detto scaro,
doveano sempre stare guardigni per non inciampare in alcun sinistro accidente.
E nemeno doveano addormirsi tutti senza guardia alcuna. Oltreché molti prattici
asserivano non aver corso [non essersi
registrate scorrerie, ndr] nel tempo che la detta barca fece alto in detto
scaro. Non seguì tempesta tale né di mare, né di venti o pioggie, che non
s’avesse possuto venire in questo Capo senz’alcuna difficoltà e pericolo.
Asserendosi da molti che sopra detta barca vi erano col Galletti molte persone.
E furono tutti così timidi, o fuor di sentimenti, che ebbero timore d’un solo
marinaro nudo nel mare, benché con un stile in mano. Per certo che, facendo
animo tutti tra essi, l’avrebbero trucidato o almeno legato. E, discostandosi
dal lido, approdare in questa liberamente. Per certo fu molto grave la loro
codardia per non dir altro.
Altri, poi,
pretendevano discolpare alli medemi, asserendo che se puoteano navigare per
questa città l’avrebbero fatto volentieri e non posto a repentaglio di perdere
pure la vita. Oltreché concorrevano li maggiori interessi del detto di
Galletti, avendo perso tutto il capitale posto. E finalmente asserivano che in
nessun modo si puoteano giudicare dall’assenti le congienture occorse allorché
fu presa detta barca, puotendola solamente quei che assistevano discernere.
Onde così il Patti, padrone di detta barca, come Francesco Picciolo, qual
consignò al Galletti onze cinque a lucro e perdita sopra detto viaggio, fecero
comparire al Galletti in giudizio per il pagamento del prezzo di detta barca e
di dette onze cinque. E sopra tal causa si sta controvertendo tra esse parti
nella R[egia] C[orte] Civile di essa città, colle prove convenienti d’ognuna
per sua defenzione.
1 settembre 1719
Tre disertori spagnoli riferiscono che nel campo di
Francavilla sono accampati ottomila soldati di fanteria e cavalleria A primo settembre
vennero in questa città tre desertori spagnuoli, soldati di cavallo fuggiti dal
suo [loro, ndr] campo residente in
Francavilla. Riferirono esservi accampati in detta terra da ottomila soldati
soldati di fanteria e di cavalleria, con quelle truppe che scorrevano per
questa Comarca e nella città di Puzzo di Gotto.
2 settembre 1719
Ulteriori disertori 2 settembre.
Seguì l’istesso d’altri tre soldati di cavallo venuti da Francavilla. Non
riferirono cos’alcuna di sodo e sempre millantandosi a favore delli Spagnuoli.
E fattasi la vendita delli loro cavalli - come gl’altri tre del giorno
antecedente - di vile prezzo si fecero imbarcare per Calabria.
3 settembre 1719
L’accampamento spagnolo a Pozzo di Gotto per un solo giorno Pure si disse in
città che il campo in Francavilla avesse partito facendo alto nella città di
Puzzo di Gotto. Si stava con molt’attenzione per sapersi il vero, anzi
diligentemente si ricercava se ciò fosse stato credibile. Si verificò che gli
Spagnuoli furono in Puzzo di Gotto, poiché in questo giorno s’ebbe notizia soda
che il campo spagnuolo col signor conte [marchese,
ndr] de Leda, viceré per la Spagna, comparì alla Marina di San Biaggio, ove si
trattenne solamente per tutto detto giorno. E non corsero lamentazioni nel
passaggio che fecero dette truppe, poiché non fecero cosa d’alcuna consequenza.
4 settembre 1719
Ipotizzato trasferimento dell’accampamento spagnolo
a Rometta
4 settembre. Pure, avendo slocato detto campo da detta Marina, si disse publicamente
in città che avesse accampato retirandosi nella città di Rometta. Ma per non
aversi da questi cittadini communicazione alcuna per la Comarca, nemeno nel
loro territorio, alle volte si raccontavano molte bugie ed era necessario
crederle.
5 settembre 1719
Disertano 5 militari spagnoli 5 settembre. Vennero
in questo giorno cinque desertori spagnuoli, quattro fanti ed uno di cavallo.
Non riferirono cosa di sodo e non si puotè dare credito alle loro bugie.
Tentato sequestro da parte delle autorità spagnole -
su istanza degli aristocratici di Pozzo di Gotto - del feudo di Faraone ai
danni del milazzese Federico Lucifero, accusato di parteggiare per gli
Imperiali. Ma il sequestro viene sventato, trattandosi di appezzamento di
proprietà della sorella del Lucifero Molto spaventato si fece a vedere Natale
[segue lacuna nella copia, ndr], da
più tempo metatiero nelli poderi del signor Don Fiderico Lucifero in questa
Piana. Il quale per tutto il tempo dell’Assedio delli Spagnuoli sempre commorò
fuori della città, assistendo per quanto puoteva alle possessioni del detto di
Lucifero. Con tutto che nella maggior parte fossero state destrutte,
specialmente quelle che si ritrovavano vicino il campo spagnuolo. E riferì al
sudetto signor di Lucifero come - a contemplazione delli principali della città
di Puzzo di Gotto - s’avea dato ordine dagli comandanti spagnuoli, ritrovandosi
in questa Piana, che s’incorporassero [si
sequestrassero, ndr] tutti gli effetti delli cittadini di questa come
rubelli e felloni. Ed infatti s’avea incorporato il fegho e luogo grande del
medemo signor di Lucifero nella contrata di Faraone, volendoselo appropriare
Don Francesco De Oliveri di Puzzo di Gotto per vendemiarlo per conto suo
proprio, con l’asserzione che il detto signor di Lucifero, come principale di
questa, s’avea demostrato molto affezionato alle arme tudesche e molto
contrario a quelle di Spagna. Con aver avuto commissione il sudetto di [segue lacuna nella copia, ndr] di
guardare tutte le vigne poste in detto fegho per conto della Regia Corte delli
Spagnuoli, stante l’incorporazione seguita di detto fegho. Anzi, si pretendeva
dal detto d’Olivari che detto metatiero si partisse [venisse licenziato, ndr] da detto fegho; e con molto suo stento
puotè superare che si trattenesse come pria, con aver la cura per non
disperdersi l’uve di dette vigne sino alla vendemia. E di più riferì che esso
signor di Lucifero era stimato per il principale rubello.
Perloché dal
sudetto signor di Lucifero, non puotendosi far altrimenti - giaché in detto
fegho dal principio dell’Assedio s’aveano ritrovato li signori Don Diego e Don
Geloramo [segue lacuna nella copia,
ndr] di Stefano, fratelli e nipoti del detto di Lucifero, il primo venuto da
Palermo e l’altro da Messina, senz’intelligenza del zio, con aver dato cura al
vino prodotto nell’anno scorso e di detto fegho ed altre possessioni del medemo,
repostato nel medemo fegho e nella contrata della Contura - s’uscirono
scritture publiche che sudetto loco di Faraone non era proprio di esso signor
Don Federico, ma della sua signora sorella Donna Francesca da più anni. E
perciò in nessun modo puotea sussistere dett’incorporazione per esser beni di
donna, la quale in nessun modo ebbe participio alcuno, né aversi ingerito a
fazzione alcuna, come costava publicamente. E s’intese doppo che o per la
sussistenza di dette scritture o per mezzo d’amici, o meglio con alcuna unzione
di mercurio indorato, s’avessero tolto gli dolori artefici delli mali intenzionati.
Tanto che svanì l’incorporazione. E doppo liberamente si vendemiarono dette
vigne dal sudetto signor di Lucifero.
6 settembre 1719
Allo scopo di arginare i soprusi degli aristocratici di
Pozzo di Gotto, che intendevano impadronirsi delle proprietà dei milazzesi, gli
amministratori comunali inviano il sacerdote Diego Pisano a Messina in udienza
dal generale conte di Mercy 6 settembre. Vedendosi tutti li cittadini di questa
disperanzati, non solamente di puoter vendemiare le loro vigne nella Piana e
nemeno di uscire in quella per osservarle, tanto per le molte scorrerie che
facevano gli Spagnuoli, come per l’arroganza dell’abitatori della città di
Puzzo di Gotto, li quali in ogni modo pretendevano impadronirsi dell’effetti di
questi paesani, impedendo che li padroni delle vigne non puotessero nonché
vendemiarsi dette vigne, nemeno prendere un grappolo di uva.
Procedendo pure
contro quei che s’inviavano per tal effetto con molta rigidezza ed insolenza. Ricorsero
[allora] li principali della città al signor comandante della Piazza acciò si
compiacesse con sue lettere rappresentare al signor Generale Mercij, nella
città di Messina, l’angustie che si soffrivano da tutti gli cittadini per la
causa sudetta, per esser molto insoffribili. Giaché gli spettabili giurati
inviarono per tal effetto al sudetto signor generale - affinché si dasse alcun
riparo - al sacerdote Don Diego Pisano. Ed, infatti, conosciuta dal signor
comandante la grave necessità, aderì alla giustificata pretenzione di questo
publico e, partito per Messina il sudetto di Pisano, ove [furono] rappresentate
al signor Generale Mercij l’insolenze delli abitatori di Puzzo di Gotto,
spalleggiati da molte truppe spagnuole che sovente si conferivano in questa
Comarca e territorio della città. Tanto che li cittadini non puotevano esser
padroni della loro robba.
Supplicava il
Pisano al sudetto signor Generale che con il suo permesso si puotesse
richiedere al generale spagnuolo che desse licenza a questi cittadini di puoter
vendemiare dette sue [loro, ndr] vigne
senza contradizione delli paesani di Puzzo di Gotto, con inviarsi alcun
tamburro per ottenersi la giustificata domanda. E ciò tutte le volte che il
medemo Generale Mercij non avesse volsuto richiedere a quel generale spagnuolo
la pretenzione di questi citadini. Onde si stava attendendo l’esito.
Giungono altri disertori spagnoli Molti soldati
spagnuoli, così di cavallo come fanti, in questo giorno desertarono con avere
preso la fuga di notte. Particolarmente quelli che si ritrovavano di guardia
nelle truppe che residevano nelle terre e città di questa Comarca. E nemeno
s’attendea più a richieder sudetti desertori d’alcuna relazione, poiché si
conoscea che rare volte dicevano il vero. Onde vendendosi detti soldati gli
cavalli e l’arme di baratto, s’inviavano - ritrovandosi la commodità di tartane
- nella Calabria.
7 settembre 1719
Diserzioni da ambo gli schieramenti. Disertori
imperiali impiccati in seguito alla cattura 7 settembre. Pure in questo
giorno comparirono altri cinque soldati spagnuoli di cavallo, avendo desertato
dalle loro truppe accampate per questa Comarca. E fatta vendita delli cavalli e
d’arme di vile prezzo, si rimetteano con barca nella Calabria.
Così in questo
mese, come nell’antecedenti, siccome in ogni giorno molti soldati spagnuoli desertavano
fuggendo dalle loro truppe, altrettanto seguia dalli nostri soldati tudeschi
che erano in questa città, prendendo la fuga e ricovrandosi nelli Spagnuoli.
Bensì, se per disgrazia alcuno fosse stato arrestato e trattenuto nella fuga,
questa provata, di subbito era condennato col conseglio di guerra alla morte
con esser impiccato ad un palo in presenza di tutte le truppe del suo
regimento. E benché fosse stato il patibolo molto crudele ed atroce, nondimeno
per non intorbidarsi la mente di chi l’intenderà, tanto magiormente che in
altre parti s’ha raccontato il modo del supplicio di quei condennati alla
morte.
8 settembre 1719
Istituzione del passaporto per transitare dal centro
urbano alla Piana allo scopo di arginare i furti d’uva nei vigneti a causa
della carestia
8 settembre. Il signor comandante della Piazza, avendo riguardo che [a]gli
cittadini di questa [città] uscendo nella Piana sovente succedevano molti
disordini ed inconvenienti - tanto che molti restavano prigionieri delli
villani armati della Comarca e d’alcune truppe spagnuole che scorreano sino per
tutta questa Piana, come seguì a maestro Paolo La Malfa ed al sacerdote Don
Alberto Pisano ed altri paesani, li quali furono condotti carcerati nella città
del Castro Reale - quanto non aversi communicazione di qualsivoglia modo cogli
nemici o per altra ragione di Stato o per altro suo fine, non permettea più che
nemeno s’avesse possuto uscire in detta Piana. Tanto più che [da] molti paesani
di questa, alli quali avea rimasto alcuna loro vigna con qualche puoco di uve,
s’avea fatto instanza che s’intercettasse l’uscita di qualunque persona, poiché
ogni giorno a ciurme molti poveri, ed uomini e femine, si conferivano nella
Piana e quelle poche uve che si ritrovavano erano consumate, servendoli per
alimento principale. Giaché in questa molto persistea la carestia. Onde
s’ordinò alle guardie di tutte le porte della città che non si lasciasse uscire
alcun paesano di qualunque condizione senza il passaporto in scriptis del medemo signor comandante. Anzi, per sapersi chi
dovea uscire si publicò bando che tutti gli padroni di vigne in detta Piana lo
dovessero revelare affinché da essi soli e suoi commissionati s’ottenesse il
passaporto. Ed infatti si dispensavano queste licenze a contemplazione [su instanza, ndr] delli sudetti padroni.
E benché gli
padroni non avessero andato in detta Piana, e la maggior parte per tema
d’incontrare alcun sinistro accidente così cogli Spagnuoli come con quei della
Comarca parziali di essi Spagnuoli, nondimeno era molta la turba di mercenarij,
li quali richiedevano il passaporto in loro persona. E con questo mezzo
provecciarsi il vivere almeno satullandosi di uve e fichi. Ed alle volte
realmente dall’istessi padroni s’inviavano li suoi [loro, ndr] familiari per osservare le loro vigne e per custodirle,
affinché non fossero dell’intutto magnate quelle poche uve che si ritrovavano
nelle dette vigne. Oltreché, uscendo molti col passaporto la mattina,
molt’altri si meschiavano con li sudetti. E di più alcuni regalavano [corrompevano, ndr] le guardie e con
pochi grani pure si lasciavano uscire.
9 settembre 1719
Alcuni ragazzi affamati riescono a scavalcare la
muraglia accanto a Porta Palermo, facendo cadere alcuni soldati di guardia e
raggiungendo così la Piana senza passaporto. L’avvenimento - che suscitò
ilarità tra i presenti, sia civili che militari - destò comunque una certa
preoccupazione tra i comandi imperiali, in quanto l’insufficiente presidio di
un accesso così importante alla città avrebbe potuto favorire un attacco nemico 9 settembre. Tra
le molt’afflizioni, patimenti e lacrime di tutti questi cittadini sofferti e
sparse - vedendosi essi nonché privi di tutti li loro effetti colli quali si
sostentavano conforme la condizione d’ognuno, [anche] posti in grandissima
carestia d’ogni vivere - pure in questo giorno per un accidente seguito
ridicolo, tanto che quelli che lo viddero o l’intesero furono forzati
commuoversi al riso.
Per la molta
fame e penuria che correa nella città s’aveano ingerito tutti gli poveri - ed
uomini e femine - di condursi ogni giorno nella Piana, ove almeno si
sostentavano cibandosi d’uve e frutti che puotevano ritrovare. Ed in questo
giorno, ben mattino - ritrovandosi nella Porta di Palermo tutti quelli che
tenevano il passaporto del signor comandante per uscire fori la città, conforme
al solito - si posero gli soldati che erano di guardia a filo d’una parte e
l’altra per riguardarsi dal signor tenente, che sovrastava di posto in detta
porta, gli passaporti, affinché uscissero l’espressi, con l’esclusione
dell’altri. Poiché molti concorreano per puoter uscire, fra’ quali esistevano
molti ragazzi poveretti. E mentre s’attende dal tenente alla numerazione delli
nominati per dar la licenza alli soldati che quelli liberamente uscissero, li
sudetti ragazzi, vedendosi esclusi, fattosi in detta porta dalla parte di
dentro, in un groppo arditamente uscirono dalla porta, con aver fatto riversare
sul suolo tre o quattro soldati con l’arme che aveano in mano. E si puosero a
correre per la campagna. E cossì tutti gli altri se ne uscirono da detta porta.
Nel cadere di
detti soldati con tutti gli schioppi, e nella uscita delli sudetti ragazzi, seguirono
in abbondanza le risa e del tenente e di tutti gli soldati. E pure di quei che
roversarono nel suolo, li quali erano di guardia nella detta porta, concorrendo
nel ridere tutti gli astanti. Perloché non si fece apprension alcuna né per
l’uscita di quelli che non tenevano il passaporto, né per il cadere di detti
soldati. Attribuendosi l’accidente all’indiscretezza di detti ragazzi, tentata
per la grave penuria e carestia nella città. E per esser quasi spiranti per la
fame da più tempo sofferta in questa città.
Tutto ciò si
racconta per burla, ma, considerato bene il caso, apporta molta consequenza.
Poiché in tempi di guerra sempre si deve con ogni vigilanza attendere al
servizio degli dominanti. E giaché in detta porta si ritrovavano tanti soldati
di guardia col detto tenente tudesco, per defenzione di detta porta principale
della città, si dovette con più attenzione riguardare gli ordini espressi del
signor comandante, stante che s’ha osservato che molte città sono state
superate dagli nemici con minore strattagemma di quella (benché senz’alcuna
frode). Ma per saturarsi di aver tentata con industria dalli sudetti ragazzi.
Del che se ne
raccontano più e più successi, nonché nell’istorie antiche, [pure] nelle più nuove e presenti. Anzi con una sola carretta
carica di paglia (nella quale nascosti due soli soldati d’animo virile,
introducendosi dalli nemici a bello studio - col pretesto d’esser detta paglia
di paesani neutrali - nella città assediata) si diede campo a detti nemici -
trattenuto colla carretta il passo di detta porta, intervenendo l’ardire di
detti due soldati che oppugnarono che non si serrasse - di sorprendersi la
città. Poiché correndo a ciurme le truppe, le quali da più tempo tenevano l’assedio,
s’introdussero nella città. E con l’eccedio della maggior parte delli cittadini
la conquistarono liberamente. Quando che se s’avesse atteso a non farsi
introdurre nella città detta carretta, o pure per la urgente necessità fatta
più diligenza, per certo che non avrebbe seguito la perdita della città bene
presidiata con tante e tante truppe e munita d’ogni provisione di guerra e di
bocca. Onde sempre nell’urgenze e defensione delle città, cossì in tempo di
pace, specialmente di guerra, si deve stare con tutta diligenza per non seguir
alcuno, ancorché minimo, inconveniente.
Alcune unità di cavalleria spagnola raggiungono la
proprietà dell’aristocratico Marcello Cirino - a pochissima distanza dalle mura
perimetrali della città - allo scopo di ottenere un colloquio coi militari
imperiali. Ma l’oggetto dell’incontro rimane riservato Continuarono in
detto giorno le scorrerie di molte truppe spagnuole, nonché nella Comarca,
[anche] in questa Piana. Anzi molti soldati di cavallo ordinarono conferirsi
nel luogo seu senia di Don Marcello Cirino, brevi passi distante dalle mura di
questa città. E rassembrando un’arroganza indiscreta, s’osservò che conducevano
un tamburro, volendo far colloquio con li nostri soldati tudeschi residenti in
questa città. Il che eseguito d’una parte e l’altra, si disciolse il discorso.
Ma per esser sovragiunta la notte non si puotè penetrare la causa del trattato.
Oltreché più delle volte gli cittadini restavano anelanti per sapere simili
colloquij. Ma la saviezza degli signori comandanti - o per esser negozio molto
importante o per politica di stato, o per altro fine - non lasciava nemeno congietturare
con sodezza il medollo del concerto tra essi determinato. Bensì molti, o per
semplice curiosità o per altra cagione, speravano che il giorno sequente
s’avesse saputo il trattato determinato in detta unione fatta tra gli nemici.
10 settembre 1719
Revocato il provvedimento che consentiva di recarsi
nella Piana solo previo rilascio di passaporto, a seguito dei continui furti
d’uva registratisi nei diversi vigneti posti al di là delle trincee e dell’accampamento
spagnolo, ossia ove i filari non erano stati distrutti dalle operazioni
belliche
10 settembre. In questo giorno s’unirono molti principali e cittadini di questa
città, conferendosi ove [si trovava] il signor comandante della Piazza ed
offerirono le loro suppliche acciò si compiacesse dar ordine alle guardie nelle
porte che si puotesse liberamente uscire nella Piana, così per recuperarsi in
parte quelli loro effetti che li furono dalli nemici spagnuoli lasciati, come
pure per attendere alla raccolta di quelle poche uve rimaste in alcune vigne
dalla parte superiore del territorio. Giaché quelle che si ritrovavano nel
campo e parti convicine, e nelle trinciere da essi fatte, erano redotte in
terreno sodo. Magiormente che uscendo alcuni col passaporto e molti in quantità
delli poveri pubblicamente assassinavano dette vigne, magnando tutte l’uve. Anzi,
la sera ne conducevano molte ceste e cartelle piene con il grave interesse
delle veri padroni. Al che detto signor comandante aderì liberamente e diede il
permesso in generale a tutti di poter uscire nella Piana. Bensì vuolse
osservare di presenza tutti gli padroni di dette vigne, con tutto che non
avessero intervenuto tutti detti padroni. Infine, senz’alcun’eccettione di
condizione di persone, fu concesso a tutti di puotersi trasferire in detta
Piana. Peronde fu molto il giubilo e consuolo di tutti gl’abitatori della
città. Particolarmente delli poveri, celebrando con mille benedizioni al
sudetto signor comandante, pure per le strade ed in sua presenza. Delché esso
molto si preggiava.
L’arrivo in Porto di diverse imbarcazioni cariche di
militari spagnoli catturati dagli Imperiali, in vista di uno scambio di
prigionieri, svela l’oggetto dell’incontro svoltosi in precedenza tra i
rappresentanti degli opposti schieramenti al di fuori delle mura urbane Approdarono in
questo porto molte tartane cariche di soldati spagnuoli con alcuni loro
officiali, qual’erano prigionieri al numero di trecento, anzi più. Condotti da
Reggio nella Calabria, quelli stessi che si ritrovavano nelli castelli della
città di Messina ed altre parti, remasti nella resa di detti bastioni, dovendo
cambiare con altritanti soldati tudeschi prigionieri che dovevano venire da
Palermo. Ed in questo giorno si penetrò il colloquio seguito l’altro
antecedente tra gli Spagnuoli e Tudeschi fori le porte: essere stato per farsi
questo cambio. Giaché nel medemo giorno aveano venuto pure in questa città
venti soldati tudeschi, quali erano prigionieri di detti Spagnuoli in questa
Comarca.
11-12-13 settembre 1719
Disertori spagnoli in fuga dall’accampamento di
Rometta
11, 12, 13 settembre. Su l’alba vennero tre soldati spagnuoli di cavallo
fuggiti dal loro campo in questa comarca. E l’altri due giorni susseguenti pure
se ne fuggirono altri nove di cavallo scampati dalle loro truppe che si
ritrovavano nella città di Rometta.
14 settembre 1719
Proseguono i soprusi dei malviventi dell’hinterland
che inibiscono persino ai milazzesi recatisi temporaneamente nella Piana di far
ritorno nel centro urbano 14 settembre. L’insolenza delli villani di tutta
questa comarca, spalleggiati di alcuni principali delle terre e città
convicine, particolarmente da Don Francesco Oliveri e Paolo Zangla di Puzzo di
Gotto (li quali pubblicamente si demostrarono nemici molto fieri contro questa
città e suoi cittadini con averli più volte composto), non cessò. Anzi,
aumentandosi in eccesso, poiché essi villani con l’arme pronte scorrevano per
tutta questa Piana, rubbando ed ass[ass]inando tutti quei che puoterono
giungere. Anzi, avendosi il permesso da tutti gli abitatori di questa di uscire
nel territorio, come s’ha esplicato, essi villani catturavano a tutte le
persone, ancorché fossero state povere e femine, e le conducevano in Puzzo di
Gotto, ove nell’istante erano riposte in carceri per puoche ore e, doppo
sprigionate, le constringevano a dare plegeria [garanzia, ndr] di non conferirsi in questa sua [loro, ndr] Patria. E facendosi il
passaporto per la Comarca, colla proibizione di non retornare in questa città
come rubella. Bensì ad ognuno di questi presi per la carceratione, scarceratione,
plegeria e passaporto si rubbava tarì sei per testa per le spese ed attistati
fatti dalli sudetti di Oliveri e Zangla ed altri.
Altri disertori spagnoli Vennero molti
desertori spagnuoli in questa città, fuggiti da questa Comarca, ove si
ritrovavano molte loro truppe cogli officiali. E si venderono li cavalli (come
gli altri giorni antecedenti venuti) di baratto. Si procurava con ogni
attenzione l’imbarco per condursi nella Calabria.